"Le opere di Andrea Benetti e la musica di Frank Nemola” di Alice Amadei
Un’atmosfera densa, dove spazio e tempo, vista e udito si mescolano, in un movimento ritmico costante fatto di sinestesie percettive. L’orecchio intercetta freddi tappeti sonori di sintetizzatore dove ritmicamente cadono minimali pulsazioni elettroniche mentre l’occhio viaggia tra linee ed immagini, simbologie arcaiche, colori squillanti e forme astratte nel fermo immagine di una tela. Ci troviamo nell’universo senza coordinate di Andrea Benetti, supportato dalla dimensione musicale di Frank Nemola, dove il subcosciente affiora senza filtri e si imprime istintivamente su tela, in una pittura che immagina forme, le accosta, le colora vivacemente con fantasia di fanciullo. Come nella poetica di Joan Mirò frammenti di realtà si mescolano liberamente inserendosi con linee curve in una dimensione irreale, in un sapiente gioco di equilibri compositivi e senso del movimento dove regna la brillantezza del colore ad olio. L’arte di Andrea Benetti travalica ogni dinamica temporale, collegando l’inizio alla fine, il mondo primordiale al mondo contemporaneo; come Paul Klee, con il quale l’artista condivide la doppia vocazione di musicista e artista, Benetti sposta il punto di vista dall’oggi all’ieri, rappresentando un ambiente primitivo in cui acquatico e terrestre sembrano confondersi e dove stilizzate figure umane coesistono a figure astratte simili ad esseri preistorici unicellulari. Le opere di Benetti, bassorilievi di gesso su tela, invecchiati con pigmentazioni naturali come il cacao, il karkadè e l’hennè successivamente leggermente plastificati e, infine resi vivi dalle squillanti pigmentazioni ad olio, travalicano i millenni, si liberano dei condizionamenti sociali dell’uomo contemporaneo per ritrovare l’essenza primordiale delle pitture rupestri all’alba dell’umanità. L’Arte Neorupestre di Benetti, il cui manifesto è stato presentato dall’artista alla 53sima Biennale di Venezia, si muove dall’istintività primigenia, allontanandosi dal realismo figurativo per ritrovare i tratti, i simboli, i colori di un subconscio fanciullesco, dove semplicità è sinonimo di curiosità e di fantasia. Benetti, riportando l’espressione artistica alle origini, va oltre una rivoluzione pittorica auspicando una rivoluzione antropologica e sociale, in cui l’uomo, liberandosi dai condizionamenti di un vacuo sistema consumistico, possa ritrovare la purezza e il rispetto per la natura in tutte le sue infinite manifestazioni. L’uomo deve riappropriarsi del corso della storia, seguirne le stratificazioni, difendere la propria dignità da una cieca arroganza e da un edonismo privo di contenuti, seguire l’istintività primordiale per interpretare il nuovo che lo circonda, coltivare il senso del mistero e del dubbio come spinta vitale, cedere alla semplicità e alla bellezza della vita. Ritornare alle origini non significa però dimenticare il presente ma creare un ponte temporale, guardare con occhi puri un universo in cambiamento, ed ecco che l’artista, in un ciclo di opere parallelo a questi omaggi all’astrattismo della pittura rupestre, si dedica alla rappresentazione simbolica di elementi archetipici del mondo contemporaneo rappresentando a bassorilievo, e riprendendo quindi la superficie rugosa di una ipotetica caverna primitiva, quegli elementi che caratterizzano la nostra epoca. Come un primitivo del terzo millennio l’artista filtra la realtà odierna per comprenderne l’essenza, reagisce al bombardamento di immagini tipico della pubblicità e del web compiendo un riduzionismo espressivo dove l’oggetto si fa rappresentazione di uno stile di vita, ormai serializzato, meccanizzato, industrializzato. Con una tecnica originale di bassorilievo l’artista immagina di descrivere per simboli il proprio tempo ai posteri, come fece l’uomo sapiens, e quindi, schematizza i frutti del progresso tecnologico rappresentando aerei, navi, motorini e sostituendo, non senza ironia, la figura primitiva del cacciatore con quella del giocatore di golf. Viviamo in un mondo plastificato, fatto di oggetti di consumo, dove sta sbiadendo quel primitivo approccio umano alla realtà, dove ci si orientava e riconosceva con l’olfatto, dove le cose si toccavano senza paura di sporcarsi le mani, dove l’orecchio udiva il pericolo arrivare, la vista misurava la natura e il gusto dei frutti era un piacere autentico. Benetti e Nemola, fondendo immagini bidimensionali su tela a registrazioni acustiche elettroniche, evidenziano come oggi la percezione umana sia soggiogata dalla prepotenza della vista e dell’udito, a causa di televisioni sempre accese e computer sempre più portatili, a dispetto di un complessivo e totale sistema del sentire. E’ quindi un arte-manifesto la produzione di Benetti dove ieri e oggi, mondo primitivo e società tecnologica, inizio e fine si amalgamano, estremi di una stessa storia, la storia dell’uomo, dove maschio e femmina si completano in alchemiche relazioni (Alchimia di un amore, 2012), dualismi ruotano paralleli (Le due lune, 2008) , le diversità coesistono (Diversità, 2009), ricordi riemergono (La mia fanciullezza, 2009) e disegno e concetto si fondono nell’improvvisazione controllata del gesto pittorico e nel libero flusso creativo. E’ il senso universale che caratterizza l’arte di Benetti e non è un caso che egli scelga come proprio simbolo la fusione tra balena, animale del profondo del mare, e l’aquila, uccello dei limpidi cieli; chi vola più in alto e chi nuota più in basso, in mezzo tutto, in mezzo noi. Noi oggi, con il nostro senso di smarrimento, noi sballottati tra le seduzioni della pubblicità, tra verità manipolate e incertezze della crisi economica, noi che ci auspichiamo una ripartenza. E’ proprio la presa di coscienza della necessità di un azzeramento a spingere l’artista verso la dimensione primitiva dell’arte, parallelamente a quanto fece Jean Dubuffet nei primi anni ’50, in una istintiva reazione agli orrori della seconda guerra mondiale, dove era venuta meno anche la solidarietà tra uomini, subordinata al colore delle divise. “Eccomi alla fine stanco di tutte le immagini istituite. […] Voglio rimettere le cose al loro punto di partenza, al loro punto zero, prima di qualsiasi vocabolario”; così si esprimeva Dubuffet teorizzando l’Art Brut, esaltando il livello primordiale dell’espressione umana che ha validità al di là di qualsiasi ideologia ed epoca. Oltre ogni epoca quindi, e così oggi Andrea Benetti, con una tecnica espressiva unica ed originale, scuote le nostre coscienze per ritrovare l’essenza dell’esistenza, nella gioiosa condivisione reciproca, portando l’uomo a rispettare la velocità naturale del crescere di un fiore, quella velocità accelerata, meccanizzata e idolatrata dai futuristi e oggi addirittura annullata dalla simultaneità dei mezzi di comunicazione. Il senso del movimento primordiale è il cuore delle tele di Andrea Benetti, la forza roteante delle immagini sembra trattenuta a stento dalle rettangolari cornici bianche e non mi stupirei se, riguardando uno di questi quadri domani, trovassi la composizione completamente ribaltata.
Alice Amadei |
Critica d’arte |