"M173 – Cro-Magnon” di Diletta Iacuaniello
La pittura Neorupestre di Andrea Benetti, invita a fare un passo indietro a quelle che sono le origini della nostra specie umana, agli istinti primordiali dell’uomo e alla necessità di un rapporto più stretto con la natura e con quelle che sono le forme più semplici e immediate di comunicazione, tra le quali appunto l’espressione artistica, la caratteristica che ci accomuna forse più di ogni altra all’uomo primitivo. In particolare l’uomo di Cro Magnon (o sapiens sapiens), al quale viene dedicato il titolo della mostra, fu il primo fra i nostri antenati preistorici a utilizzare la pittura come mezzo espressivo. Dalle moderne indagini genetiche infatti sembra potersi affermare che i cromagnonoidi entrati in Europa dall’Asia centrale verso il 30.000 a.C. furono i primi portatori del particolare marcatore genetico degli europei moderni (M173) e ciò che li distinse dalle altre popolazioni primitive, unitamente alla diffusione e all’uso di utensili più raffinati, fu proprio una particolare predisposizione all’espressione artistica. Parlando di arte preistorica si delinea dunque come oggetto una vicenda inauguratasi almeno 40.000 anni fa, e forse molto prima, allorché gruppi umani presero a dipingere, graffire, modellare o scolpire forme su roccia, ossa, fango, e così via… Ma già le parole “minime” attorno a cui questo oggetto si organizza come tale – arte, forma, dipingere, ecc. – raccolgono e racchiudono tutta la sovrabbondanza di eventi che le ha addotte e determinate nell’orizzonte della contemporaneità. Possiamo infatti affermare che nulla o quasi è cambiato nel panorama artistico da allora fino ai giorni nostri. Come scrisse il grande maestro Fontana nel suo Manifesto Blanco il “gesto” e l’invenzione artistica nell’arte sono più importanti del suo contenuto materiale, essi sono: “gli unici atti di eternità possibili per l’uomo”. L’arte diventa eterna attraverso il significato che vuole tramandare, non attraverso le tecniche con cui è realizzato. E proprio in quest’ottica prende vita il lavoro di Andrea Benetti che sapientemente percepisce l’attualità di un’arte così lontana nel tempo, analizza la pittura rupestre per il suo significato e la ripropone in chiave estremamente innovativa ed originale enfatizzandone la semplicità e l’immediatezza espressiva sottolineando le molte sfumature di questo linguaggio che, se pure apparentemente così distante da noi arriva a sorpresa a trovarsi così vicino e paragonabile al linguaggio artistico contemporaneo. In particolare analizzando le opere proposte nelle tre sale della mostra veniamo accompagnati in una sorta di viaggio nel tempo, che non solo ripercorre le principali tappe del percorso artistico di Benetti, ma invita ad una riflessione generale sull’evoluzione artistica nei secoli. Proprio come in quelle grotte da cui tutto ebbe inizio, la cui superficie rocciosa ed irregolare veniva sfruttata dall’uomo primitivo per dare l’una o l’altra forma ai soggetti da rappresentare, nella prima sala una serie di disegni (Tracce apocrife) realizzati con colori e materie prime naturali e insolite, emergono da una superficie lavorata in maniera del tutto originale dall’artista che ripropone la materia grezza ed irregolare propria delle pareti rocciose, e porta a mimare in tutto e per tutto la mano creativa dell’uomo primitivo: non c’è una idea già organizzata, proiettata sullo spazio della figurazione, ma si segue un itinerario che porta a individuare diverse possibili immagini che emergono dallo sfondo sotto forma di animali, maschere inquietanti e figure umane stilizzate che trasudano qualcosa di magico e spirituale proprio come i dipinti realizzati milioni di anni fa nelle caverne. Benetti propone con questa produzione di disegni un comportamento inedito nella scelta del linguaggio espressivo, avvicinandosi ulteriormente al naturalismo e all’immediatezza espressiva propria delle pitture rupestri e facendo dunque un ulteriore passo indietro rispetto agli ormai noti dipinti della sua pittura neorupestre che sì, ripropongono le figure ed i temi dell’arte rupestre ma vengono ricollocati in una dimensione fantastica ed irreale, e sono quindi presentate come simboli, la cui apparente semplicità ed immediatezza cela uno studio e un pensiero tutt’altro che superficiali. Queste figure sono al contrario veicolo di spiritualità e non vogliono imitare, ma hanno lo scopo di enfatizzare il messaggio profondo che ne emerge invitando il fruitore ad una riflessione volta ad esortare un ritorno alle origini, una ricerca della sacralità della vita attraverso la ricostruzione di un rapporto armonico e semplice con la natura inteso come rinnovamento e purificazione. La stessa riflessione viene proposta anche nella produzione di dipinti astratti, che in quest’ottica di viaggio nel tempo rappresentano la naturale evoluzione dell’arte primitiva e sembrano offrire la possibilità di oltrepassare la dimensione abituale per essere proiettati all’interno di un mondo fantastico e sovrannaturale. Ma questo non è forse anche, lo scopo dell’arte paleolitica? Non c’è dubbio. Gli uomini paleolitici incidevano nella roccia dura figure, segni e simboli che esprimono tutti la stessa volontà di oltrepassare la materia, tanto da poterli considerare in tutto e per tutto dei precursori degli artisti delle avanguardie. Ecco dunque che il cerchio si chiude, il passato e il presente si congiungono, e ciò che appare come passato partecipa più che mai al presente in quanto riportato in vita da ciò che è nostro, dall’orizzonte della contemporaneità.
Diletta Iacuaniello |
Critica e Curatrice d’arte |