"La forza dell’Archetipo” di Andrea Marrone
Ci sono immagini che scorrono davanti ai nostri occhi senza penetrarli, immagini inerentemente vuote di significati anche se attraenti dal punto di vista estetico, le si guarda, si commenta la loro bellezza e poi le si dimentica, perse nel sovraffollamento della nostra memoria e confuse nella sovraeccitazione dei nostri sensi. Altre immagini, magari viste di sfuggita, intraviste in condizioni di luce precarie, in situazioni non adatte alla contemplazione invece rimangono, anzi, vengono riconosciute come nostre, recuperate da recessi della memoria non accessibili ordinariamente.
Tali immagini si chiamano Archetipi e vengono trasmesse da tempi ancestrali non tramite libri o tradizione orale ma tramite i nostri geni, sono parte del nostro patrimonio genetico, siedono, immobili ed eterni messaggi subliminali sulla spirale del nostro DNA.
L’arte di Andrea Benetti attiva questa memoria genetica, stimola in noi sentimenti, sensazioni, ricordi che non sapevamo di possedere. Risentiamo il muggito degli Uri, il bramito dei cervi primigeni e dell’orso speleus, il ruggito della tigre dei denti a sciabola. Risentiamo quel fremito nella schiena, vestigia di quando l’uomo possedeva una folta peluria, di quando afferrava la lancia con la lama di selce per affrontare le fatiche e i pericoli della caccia. Il salmodiare degli sciamani accompagna il nostro spirito nei cunicoli illuminati da fiaccole delle grotte, giù nelle stanze più profonde, quelle destinate ai soli iniziati dove si cantano le gesta degli antenati, dove vengono tatuati sulla pelle i segni del coraggio e della fortuna, dove si cementa l’appartenenza al clan.
Non si passa in maniera distratta, indifferenti di fronte alle opere di Andrea Benetti perché esse attingono a tutto ciò ed a altro ancora, non si fermano all’archetipo, non sono mere riproduzioni dell’arte sacra primitiva. Sacra perché riguarda il rapporto con la Grande Madre, con la natura dispensatrice di vita che va adorata, amata ma anche temuta perché la sua morale non è quella degli esseri umani, la sua morale comprende quella umana e la supera per diventare morale universale che riguarda indifferentemente l’uomo, la pietra, l’animale e l’albero. Non riproduzioni ma recuperi di una visione del mondo e delle cose primigenia che vede l’uomo perfettamente inserito nel ciclo della natura, un uomo che guarda il mondo con occhi che non sono di bambino, non sono occhi infantili ma sono occhi di chi non ha le sovrastrutture mentali dell’accumulo di secoli e millenni di ragionamenti filosofici ma di chi spalanca gli occhi, occhi maturi e consapevoli, in quel momento e vede la bellezza, la maestosità, la sacralità della vita e non si preoccupa di fotografarla, di analizzarla, di specularci sopra ma si lascia assorbire in essa.
L’arte non è fatta solo di segno estetico, anche la materia ha una sua valenza e ancora una volta Andrea Benetti travalica i generi costruendo opere che superano pittura e scultura mediante l’uso di materiali eterogenei e inediti, mediante tecniche di raffinata semplicità o di complicata ingenuità e ancora una volta vediamo il meccanismo del sacro che investe di dignità il tronco corroso di un albero, la nuda pietra che si copre di segni apotropaici, le superfici di terre, pergamene, tele come specchi dell’anima che moltiplicano le sensazioni e attivano i ricordi di una passata innocenza.
Visitare questa mostra significa intraprendere un viaggio a ritroso dentro noi stessi non per cercare il fanciullo, non è arte naif, ma per ritrovare l’uomo autentico, quello che la cosiddetta evoluzione ha ricoperto di scorie intellettuali impedendogli di vedere le cose per quello che sono, di trovare negli oggetti, nelle piante, negli animali quell’afflato di divinità che alberga in tutti e in tutto. Ritrovarlo e riconsegnarlo alla innocenza con cui il primo uomo ha aperto gli occhi sulla natura intorno e dentro di lui rifiutando il concetto di estraneità o di alterità da essa ma riconoscendo di essere lui stesso natura. Non c’è ingenuità in questa arte che è compiuta visione di vita, vi si trova intatto lo stupore dell’uomo primitivo, la sua religiosità e visione riportata nei tempi moderni, antica e moderna al tempo stesso oppure, per dirlo compiutamente: eterna ed immortale.
Andrea Marrone |
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