"Andrea Benetti: una città con l'arte ovunque” di Gaia Giorgetti
Un artista bolognese che è arrivato alla Biennale, al Premio Michetti, agli Archivi Modigliani e, ora, a Roma in mostra con De Chirico, Modigliani, Andy Warhol, Schifano, Keith Haring. Andrea Benetti ha 46 anni, è nato, vive e lavora a Bologna. La sua città, da dove non vuole andarsene, ma dove dipinge le sue tele quasi scolpite, con calchi, tinture di caffè, di henné e cacao, mischiati ad acrilici o colori ad olio.
La sua arte «Neorupestre» – così la chiama rifacendosi ai graffiti dell’uomo preistorico – rappresenta il bisogno di ripartire raffigurando i nuovi simboli che ha intorno: non più e non soltanto gli animali da cacciare, ma ogni oggetto e ogni gesto sono al centro del suo interesse per ricostruire un rapporto nuovo, anzi meglio, nuovamente primordiale, basato sulla dignità umana e sul rispetto per la natura.
Hanno notato le sue opere alla Biennale, dove a Ca’ Foscari l’anno scorso ha presentato il suo Manifesto della pittura Neorupestre e gli Archivi Modigliani hanno partecipato (con la prefazione del presidente Christian Parisot) al suo progetto editoriale, un libro-quadro (a tiratura limitata) sulla «velocità», dove accanto a dodici opere pittoriche, tre foto di Luca Vezzoso ed una scultura di Lanfranco Di Rico, compaiono testi di illustri professori, antichisti, medici, fisici e politologi, di varie università italiane e straniere.
Lei è un artista che ha opere in Italia e nel mondo. Bologna appare una città insondabile o semplicemente indifferente?
«A Bologna non sono riuscito a fare tutto quello che mi è riuscito fuori. Perché tutte le volte che ho proposto qualcosa ho trovato difficoltà e alla fine le cose non si concretizzavano».
Perché secondo lei?
«Perché spesso non si sa come contattare le istituzioni e vi è sempre il rischio che tutto resti ‘lettera morta’. Però, una cosa sono riuscito a realizzarla, proprio a Bologna. Ma legando l’arte al sociale…».
Al sociale?
«Con la Fondazione ‘Dopo di noi’ e la pittrice Susanna De Paolis, abbiamo portato avanti un progetto di pittura come emozione con i ragazzi disabili. Sono stati realizzati anche una mostra e un catalogo, e stiamo terminando la seconda edizione. Sono venuti fuori lavori bellissimi».
Però, l’apertura della città all’arte è un’altra cosa. Parliamo di istituzioni… Qualche suggerimento?
«Penso, per esempio, a un coordinamento generale, per proporre gli artisti famosi e anche quelli non famosi che hanno ottime idee e non sanno a chi proporle».
Spieghi meglio. Un coordinamento sull’arte?
«Ha presente lo sportello unico per le imprese? Ecco, una cosa del genere. Dovrebbe essere istituito uno sportello unico per le arti, diviso per le singole discipline, dall’arte figurativa, alla scultura, alla foto, alla musica e così via».
E poi?
«E poi Bologna può diventare la città dove l’arte è ovunque, e non solo nelle gallerie e nei musei. Penso a collaborazioni con le multisale, con gli hotel, con le fabbriche. L’idea dell’arte ovunque è realizzabile a costi zero, e aiuterebbe la città a connotarsi diversamente, dando modo al numero maggiore possibile di artisti di farsi conoscere».
Arte dappertutto, insomma. Pensa sia realizzabile?
«Addirittura ho un’idea di una multisala, un vero e proprio polo artistico. Penso a un’area con una decina di piccole sedi espositive, attrezzate per far esporre artisti emergenti e non, per favorire l’incontro con i galleristi, con i collezionisti, ma per avvicinare all’arte un numero sempre crescente di cittadini. Credo che l’arte possa essere un ottimo antidoto alle tante sciocchezze verso cui i giovani sono spinti. L’arte è riflessione, meditazione; proprio ciò che spesso manca a questa società».
Già, ma chi paga questo polo delle arti contemporanee emergenti?
«Non avrebbe costi a carico dell’amministrazione. Basta individuare una sede, qualsiasi struttura in disuso, purché non pericolante e gli artisti stessi potrebbero metterla a posto. L’importante è che non diventi, come spesso accade, un posto dove se conosci esponi, sennò ti attacchi. Ci dovrebbe essere un registro dove ci si iscrive e prima o poi tocca anche a te. Certo, ci vuole un minimo di selezione, ma non discriminazione. Sarebbe anche molto interessante, cercando qualche sponsor, poter istituire, nella stessa struttura, un premio di arte contemporanea, con una giuria qualificata».
E qualche idea per il centro storico, così imbalsamato?
«Bologna è piena di fantasmi. Basti pensare alla quantità di negozi sfitti proprio nel centro storico. Perché non utilizzarli, temporaneamente, per fare delle mostre? Si rinnoverebbe la città, si spingerebbe la gente a incontrare l’arte contemporanea e non solo a spremersi la testa su dove andare a bere un bicchiere di vino».
Gaia Giorgetti |
Giornalista e scrittrice |