"Colori e suoni delle origini, la mostra di Benetti e Nemola a Bologna” di Luciana Apicella
Fino al 30 aprile a Palazzo d’Accursio le opere dell’artista bolognese, protagonista della 53ª Biennale di Venezia con il Manifesto dell’Arte Neorupestre, incontrano la musica del collaboratore di Vasco Rossi: “M’ispiro all’arte dell’uomo primitivo, come simbolo del ritorno alle origini, per ripartire con un futuro non fatto solo di sopraffazioni”
Le sue opere sono esposte Collezione d’Arte del Quirinale, all’avveniristico Museion di Bolzano, alMamBo di Bologna e al Palazzo di Vetro di New York. Dopo aver fatto fare alla sua arte Neorupestre, rivisitazione del simbolismo della pittura primitiva nella quale si accampano oggetti in bilico tra un passato arcaico ed un futuro ipertecnologico, il giro del mondo, Andrea Benetti torna a Bologna con la mostra “Colori e suoni delle origini”, a Palazzo d’Accursio (Sala d’Ercole) dal 10 al 30 aprile. Con un’inconsueta formula di contaminazione tra suoni e immagini: la mostra sarà infatti accompagnata dalla performance del polistrumentista Frank Nemola, già collaboratore di Vasco Rossi. Il live della performance, della durata di una ventina di minuti, fungerà da accompagnamento sonoro e parte integrante del progetto espositivo durante tutto il periodo della mostra.
Come nasce l’idea/ispirazione dell’arte Neorupestre, della definizione, di fatto, di un vero e proprio genere pittorico?
“Ne ho forse compreso l’origine parlandone col professor Gianfranco Bartalotta, che mi invitò a tenere una lezione sull’arte Neorupestre all’università Roma Tre. Attraverso le sue domande mi resi conto della passione per l’arte e per le caverne che mio nonno mi aveva trasmesso fin da bambino, portandomi a visitare le bellezze artistiche e le grotte di tutta Europa. Successivamente mi accostai allo studio della pittura rupestre restandone affascinato. Fu così che quando pensai ad una nuova visione del mondo, necessaria per evitare l’eutanasia umana, nel parallelo con un azzeramento simbolico, mi ritornarono alla mente tutte le suggestioni dell’arte dell’uomo primitivo, come simbolo del ritorno alle origini, per ripartire col piede giusto, per un futuro che non sia fatto solo di consumi e sopraffazioni”.
Il primitivismo attraversa la storia dell’arte e del pensiero a più riprese, come fuga o ritorno a una purezza originaria, all’eden perduto, mentre ella lo contamina volutamente con riferimenti al presente meccanico, ad oggetti della contemporaneità. Come si declina il suo personale primitivismo?
“La mia visione è simbolica: è l’uomo che azzera e ritorna alle proprie origini, per ripartire alla ricostruzione di un mondo rinnovato, che ponga al centro della propria concezione ed azione la dignità dell’uomo, il rispetto per l’ambiente. La visione dell’uomo primitivo si mischia all’uomo contemporaneo nella mia arte come un gioco: ed allora abbiamo l’uomo primitivo catapultato nel duemila, che dipinge nelle pareti delle grotte l’iconografia dei nostri tempi, ovvero areoplani, automobili, giocatori di golf, barche a vela al posto di bisonti e renne. Una riappropriazione insomma delle origini dell’espressività contaminate con le forme e gli oggetti del presente”.
Quando nasce la collaborazione con Nemola? E’ accompagnamento o complemento delle opere in mostra, disvelamento di un loro senso, di un loro ritmo? La musica e la danza richiamano, in fondo, suggestioni arcaiche, ancestrali, sono in fondo anche esse un pre linguaggio…
“A Frank mi unisce anzitutto una ventennale amicizia artistica e personale, nella quale tutti e due sentiamo forte l’esigenza di completare, di contaminare, di costruire insieme ad altre forme artistiche, a completamento della nostra. L’arte come progetto da creare insieme. Frank lo conobbi quando suonavo professionalmente ed ebbi la grande fortuna di collaborare con lui, che nella musica sguazza come un pesce nell’acqua. Oggi, mi sembra di continuare questa nostra collaborazione: io suono i colori e lui dipinge le sonorità”.
Che ricordo serba dell’incontro con Papa Benedetto XVI?
“A onor del vero non ho incontrato personalmente il Papa. Una mia opera è stata donata al Pontefice da una delegazione dell’A.n.f.e., l’associazione che rappresenta gli italiani nel mondo, che compiva i 60 anni. Io ero presente ma, devo confessarlo, abbastanza impresentabile, perché pioveva ed avevo una felpa nera col cappuccio… Ho preferito vedere l’atto della donazione a distanza. Devo dire che l’emozione è stata grande, poiché in Vaticano si respira la storia, quasi come se lì fosse ancora viva nel passato. Il mio abbigliamento casual sarebbe stato decisamente irrispettoso della solennità del luogo. Ho preferito restare, diciamo così, in incognito”.
Luciana Apicella |
Giornalista e critica d’arte |