"Vitalità del primitivo” di Pasquale Fameli
Spesso il duo Basmati (formato da Audrey Coïaniz e Saul Saguatti) ha colto o catturato fotograficamente le architetture delle città italiane disarticolandole e sfaccettandole in una molteplicità di punti di vista, evidenziandone i profili strutturali mediante traiettorie e vettori di movimento, quelle linee-forza con cui i Futuristi, e Boccioni su tutti, dipingevano incredibili e luminosissime “visioni simultanee”. Quella di Basmati è davvero una “città che sale” in cui palazzi e monumenti vengono centrifugati nel mixer luccicante del video, dove il passo dell’animazione diventa puro flusso. Ma allontanandosi per un attimo dalla giungla metropolitana, con i suoi ritmi vertiginosi, il duo Basmati è andato stavolta a riscoprire quella vera, dove la naturalità degli elementi domina e il segno dell’uomo è minimo, non invasivo. Sono i segni di una nuova pittura rupestre, quella di Andrea Benetti, che danzano al richiamo di un ossessivo tamtam, quello delle percussioni jungle di Frank Nemola. Le figure smagrite e dinoccolate di Benetti costituiscono infatti il repertorio iconografico da cui il duo Basmati è partito per un viaggio senza barriere spaziotemporali: Essentia è come un’accelerazione verso il passato e un “ritorno al futuro”, è la sintesi di un’indagine materiologica compiuta sui quattro elementi – aria, acqua, terra e fuoco – tra gli angoli di quel quadrilatero vitalissimo che è il video. La materia ai suoi diversi stati – liquido, solido o gassoso – è, per Audrey Coïaniz e Saul Saguatti, la sostanza viva di una nuova o ritrovata Informalità: escrescenze, grumi, germinazioni e ribollimenti costituiscono infatti la grammatica di molte delle loro performance live, dove i due artisti sperimentano mescolanze e misture alchemiche proiettandole su pareti e maxischermi, testando la mutevolezza dell’organico e canalizzandola in tempo reale per riversarla nell’ambiente sotto una nuova luce, quella dei pixel. Attraverso questa sorta di “Informale tecnologico”, si schiude quindi per il fruitore un microcosmo di peduncoli, gameti, amebe, molecole che si ingigantiscono, passano dall’infinitamente piccolo all’infinitamente grande proprio grazie alla flessibilità e all’adattabilità dimensionale di un medium attualissimo. Il gesto e la materia vivono e si articolano così nell’eterotopia o nell’atopia dell’ambiente video, in cui i segni di un iconismo elementare galleggiano o si diradano, sfidano la forza di gravità per espandersi in circonvoluzioni, vortici e spirali, come accadeva sulle tele dei Nuclearisti.
Ma sui frame materici di Essentia, che formano territori ameni, desertici, infuocati, si innestano scene di caccia come quelle dei camuni, filtrate però attraverso un linearismo giocoso, quasi fumettistico, di sapore pop. È l’immaginario neo-rupestre di Andrea Benetti, che intrattiene un singolare dialogo con quei pittori della generazione precedente alla sua che hanno promosso il ritorno a una pittura “selvaggia” come Markus Lüpertz o A. R. Penck. Benetti compie però un passo ulteriore, perché alleggerisce le tinte sul pastello e le impasta con henné e caffè, ma soprattutto ammorbidisce i contorni e li cuce come in un sinuoso cloisonné, associando festosamente i segni del primitivo con quelli dell’infantile, condensando così le due vie di una vivificante regressione, per non soccombere a quella che Jean Dubuffet definiva una “asfissiante cultura”. Tornare alle origini vuol dire, infatti, riscoprire energie sopite che un rapporto con gli elementi primigeni può sollecitare e risvegliare, ma a patto di mediarlo con le forme, i linguaggi e le tecniche dell’oggi, per un più intenso e nutriente rapporto col mondo.
Pasquale Fameli |
Ricercatore del Dipartimento delle Arti |
Università di Bologna |