"La forza dei simboli” di Sabrina Collina
Quando vidi per la prima volta l’arte di Andrea Benetti, rimasi colpita dalla carica che quella tipologia di dipinto, realizzato su bassorilievo, sprigionava, mutuando in maniera elaborata ed intelligente, quella che è l’origine della pittura, ovvero la pittura rupestre.
Le figure possono fungere, all’interno della tela, da simboli isolati, come fossero reperti di una catalogazione archeologica, oppure essere inserite in un contesto dinamico, che le anima, quasi a farle rivivere oltre il valore simbolico, che esse rappresentano.
Grande intuizione di Andrea Benetti quando mi disse che ormai viviamo in una società in cui non si legge più, si studia a fatica e, quindi, come nelle popolazioni che non hanno un linguaggio, i simboli assumono una strabiliante importanza.
Andrea Benetti si diverte a mescolare simboli vecchi e nuovi; simboli propri del patrimonio umano uniti a bizzarre intuizioni ed invenzioni, che egli elabora a volte istintivamente ed altre attraverso uno studio approfondito dei segni e della stilizzazione che questi possono offrire. Le figure di animali carpiti all’arte della preistoria, quali i cavalli, i bisonti, i mammut, i rinoceronti e tanti altri, rappresentati insieme a figure geometriche di varia forgia, concatenate tra loro e caratterizzate da colori che non sono mai scontati, sembrano evocare qualcosa che va oltre la percezione cromatica delle figure, per divenire una specie di rito delle forme, che celebra un’antica spiritualità pagana.
Creare un neo-simbolismo che mescola le geometrie dell’astrattismo, alla stilizzazione di forme esistenti, fino ad ombreggiarle e renderle un figurativo puro, è una delle caratteristiche più affascinanti della pittura di Benetti, che gioca con le forme ed i colori, quasi a creare un puzzle, che abbia come risultato immediato l’armonia ed attraverso essa possa comunicare un messaggio, spesso solo per chi lo saprà cogliere.
Mi capita, ammirando le opere neorupestri di Andrea Benetti, di pensare che spesso siano dei “mitogrammi”, ovvero un insieme di simboli animati da un discorso. Come scrive Julien Ries, riferendosi al mitogramma, nel suo libro “L’uomo e il sacro nella storia dell’umanità”, edito da Jaca Book: “Il suo significato simbolico, legato al discorso, scompare nello stesso momento in cui scompare il discorso. Tra le figure non esiste concatenazione; non avviene la traduzione degli atti che muovono le figure, non c’è un nesso lineare: la concatenazione è a carico del commentatore. Le figure giustapposte non hanno alcun riferimento al tempo e allo spazio. Nel Paleolitico superiore questo fenomeno e press’a poco costante. In un contesto mitografico le figure servivano a fornire un punto di riferimento visivo a coloro che conoscevano i protagonisti del mito.” Leggendo queste parole del Ries, verrebbe da pensare che per molte opere di Benetti, vi sia dietro un discorso da fare e che, senza di esso, le figure che sarebbero protagoniste di una vicenda od anche di un ragionamento, restino prive di quelle parole come sospese in una condizione senza spazio e senza tempo, avvolte dal mistero, proprio della pittura delle caverne. Per finire, non posso esimermi dall’elogiare la ricerca cromatica che Andrea Benetti elabora nelle proprie opere. In alcuni casi verrebbe da definirli colori irripetibili, nati empiricamente da una concatenazione di colori, che portano sempre più lontano il confine del ripetibile. Colori che tra loro stonerebbero volentieri, ma che sono messi in armonia perfetta da un terzo colore ed un quarto… e così via, fino ad arrivare a sinfonie composte da una decina di fattori cromatici inseparabili tra loro, in quanto compatibili soltanto nell’insieme. Si possono attingere tante simbologie nella pittura di Andrea Benetti: nei colori, nelle forme, nella storia e nelle atmosfere criptiche che sa evocare, quasi a ricreare quella magia, quel mistero, propri della pittura delle origini, che questo grande artista ci fa rivivere ad ogni sua nuova mostra.
Sabrina Collina |
Curatrice d’arte |